Okonjima

Okonjima

Svegliati alle 6.30 dal “canto” dei guinea fowls (in italiano Numididae o faraona meleagris, ma noi li battezziamo “polletti di m…” vista la sveglia precoce!), facciamo colazione con la compagnia di scoiattoli per nulla impauriti e pronti a tutto per qualche briciola.

Partiamo quindi per la nostra prossima destinazione che raggiungiamo dopo 3 orette di comodo asfalto. Il cancello di entrata è a 23 km dal lodge e questo la dice lunga sull’estensione della riserva di Okonjima.

Non sapendo che ci sono vari camp riusciamo a sbagliare e a tentare di fare check-in nel Bush-Camp invece che nel Plain-Camp… grave errore perché non dovevamo vedere quanto bello era il primo. Non che il nostro sia brutto, ma un po’ meno lussuoso e più easy lo è… (giustificato comunque dalla differenza di prezzo).

La sala comune è una specie di hangar arredato in modo “post-moderno” con pezzi di arredamento “industriali” come i ventilatori presi da girandole di pozzi. La stanza offre la più bella finestra/vetrata che io ricordi: un enorme “tv da 200 pollici” che trasmette il panorama del bush costellato di rossi termitai alti come alberi.

Africat

AfriCat è un'organizzazione no-profit che si occupa della salvaguardia di felini carnivori (leoni, ghepardi e leopardi ma anche iene e wild dog) che purtroppo di questi tempi sono in grave pericolo. In Namibia infatti agli allevatori è consentito per legge sparare e uccidere questi animali per difendere il loro bestiame, o peggio lasciare che dietro lauto compenso, delle merde di uomini –scusate il francesismo- chiamati trophy hunters possano cacciare e uccidere nella loro tenuta. Una famiglia di questi farmer (gli Hannsen) nel 1993 ebbe l'intelligenza di cercare di cambiare le carte e decise di vendere il bestiame e creare AfriCat: nei 22000 ettari di Okonjima i felini già esistenti potevano vivere una vita senza pericoli e al contempo fecero nascere una struttura di recupero per quelli feriti (da armi o da investimenti di veicoli) che venivano portati qui da altre zone. Per finanziare l'organizzazione visto che le donazioni non bastavano, pensarono di costruire varie strutture ricettive turistiche per tutte le tasche, dai camp-site come il nostro alle ville super-lusso e dare quindi ai turisti l'opportunità di vedere "quasi" sicuramente e da vicino questi magnifici animali. Gli animali re-inseriti prima di essere liberati vengono infatti dotati di collare radio e durante i safari le guide usano un'antenna per cercare di localizzarli. L'area come detto è molto vasta (20x24 km) quindi è chiaro che c'è l'aiutino ma non si ha affatto l'impressione di essere in uno zoo (che era il mio timore e mi aveva fatto molto pensare se prenotare in questa struttura).

Al pomeriggio prendiamo parte ad uno di questi safari in cerca dei ghepardi (cheetah). La guida è aiutata da un tracker che per mezzo di un antenna cerca di localizzare per lo meno l’area dove staziona qualcuno dei 15 esemplari che sono “collarati”. Dopo un’oretta di giro che ci fa comunque apprezzare la bellezza della riserva, finalmente l’incontro: due splendidi esemplari che riusciamo ad avvicinare a piedi fino a una decina di metri. Dopo la lunga sosta e decine e decine di foto, ripartiamo e facciamo altri fortunati incontri: una iena che se la dorme della grossa nel letto di un fiume in secca e molti altri animali che non avevamo ancora mai visto come ad esempio i dolcissimi dik-dik dai grandi occhioni.

L’indomani all’alba (sveglia 5:30) il giro si ripete ma questa volta alla ricerca del leopardo che è molto più schivo e difficile da trovare (“lo davano 1:2”, ovvero dicono che il 50% delle volte si torna a mani vuote). Dopo la solita ora di giri a vuoto, la dea bendata ci sorride e ne vediamo addirittura due, uno dormiente molto da vicino e un esemplare femmina che ci precede a pochi metri prima di dileguarsi nella boscaglia.

Ritornati al lodge non siamo ancora sazi di felinità e decidiamo per una terza attività che consiste nella visita della parte di fondazione dove vengono portati i felini feriti che vengono recuperati e re-inseriti gradualmente prima di essere rilasciati. Alcuni di questi purtroppo non riusciranno più a sviluppare le doti naturali di cacciatori e quindi resteranno per sempre in questa riserva della riserva (parliamo sempre di spazi di qualche decina di kmq, quindi mai costretti dentro gabbie o recinti). È in questa zona che faremo conoscenza con un bellissimo esemplare di leopardo che vediamo mentre pasteggia su un ramo e di 3 gruppi di cheetah abituati alla presenza dell’uomo che si lasciano fotografare da ogni angolazione.

Visitiamo infine la parte didattica della struttura dove molte scuole fanno visita (una parte importante è proprio insegnare alle nuove generazioni il cambio culturale di mentalità per cui era giusto sparare agli animali carnivori per difendere il bestiame) e la piccola clinica dove vengono effettuati alcuni interventi.

La fondazione sembra molto seria e la passione che mettono le guide nel raccontarti ogni particolare e nel riconoscere "personalmente" per nome ogni animale rende fiduciosi se si volesse fare una donazione.

Con molto dispiacere lasciamo questo ennesimo mini-paradiso (qui le foto delle 2 mezze giornate), dispiacere acuito dal fatto che il viaggio è praticamente terminato.

In due ore circa, raggiungiamo Windhoek chiudendo idealmente l’anello di 3000km che avevamo iniziato due settimane prima.