Alice Spring
Riconsegnata la fida Toyota Corolla che non avrà mai fatto così tanti km su
sterrato, prendiamo il volo Quantas che parte con mezz’ora di ritardo ma
inspiegabilmente atterra in perfetto orario ad Alice Springs. Qui ci attende la
seconda vettura a noleggio che ci sorprende per le dimensioni: un Toyotone
Fortuner con ruote da 265 e sospensioni che prospettano un assetto da
barcone! Check-in nell’hotel dove il tempo sembra essersi fermato agli anni 70 e
puntata al Tourist Office (nella Todd Mall) dove un’impiegata aborigena
(“diversamente simpatica e disponibile”) ci indica qualche opzione per passare
il tardo pomeriggio. Ci dirigiamo al Simpson Gap dove vedremo il primo
di una
serie uguale di posti: Laparinta Drive, dentro a destra per qualche km, carpark,
due passi a piedi, pozza d’acqua in mezzo a due rocce che formano uno stretto
passaggio. Bello (il primo, il secondo, poi -direbbe Albanese- ha rotto il c…).
Puntata d’obbligo sulla Anzac Hill, una collinetta che domina
la cittadina, e
poi cena per coincidenza nuovamente Thai!
Fossi la Hilton mi vergognerei un po’ ad associare il nome ad una struttura
simile. Niente che non funzionasse o fosse sporco, ma la vasca con la tenda
della doccia, e lo switch del condizionatore Honywell a mille regolazioni (o On
o Off) sembrano quelli che si vedono nei film su Nixon (se non JFK).
Tjoritja/West Mac Donnel Park, Watarrka, Mereenie Loop
Ci svegliamo presto perché sappiamo per dobbiamo fare molti km, alle 8 siamo già
alla Todd Mall davanti al Tourist Office dove dobbiamo prendere il Permesso per
attraversare una zona di proprietà di aborigeni (costo 5,5 AUD). Ma è il Good
Friday, ovvero il venerdì santo prima di Pasqua e l’ufficio come nei festivi
apre alle 9.30. Visto che molti siti fanno intendere che sono ben pochi a pagare
il permesso (non ci sono controlli ed è più un obolo etico), decidiamo di non
buttare un’ora e mezza di tempo, caffè e muffin nell’attiguo bar e via…
(cercheremo di rendere omaggio al popolo aborigeno comprando qualcosa da loro)
La prima tappa è il Serpentine Gorge, (vedi descrizione
sopra) dove però ci
inerpichiamo per uno scosceso sentiero attirati da una freccia “lookout” … in
effetti il panorama sulla valle sottostante vale
la pena. Proseguiamo per
l’Ochra Pits dove gli aborigeni ricavano dalla gialla roccia l’estratto per una
pittura tribale e pranziamo al Ormiston Gorge (indovinate cos’è?! Una gola con
alla fine una pozza d’acqua!).
Il cielo si annuvola, i colori si spengono e così saltiamo le tappe previste
successive (Glen Helen e Redbank Gorge); da qui in poi sono circa 260 km di
rossa strada sterrata fino al King Canyon Resort. Le morbide sospensioni, e i
larghi e sgonfi pneumatici fanno egregiamente il loro lavoro e anche sui pezzi
altamente corrugati si viaggia tranquillamente senza troppi scossoni. Incrociamo
in circa 3 ore una mezza dozzina di macchine (mentre nessuna ci precede o
segue!) un paio anche berline e notiamo come le medie che riescono a tenere
siano considerevolmente più basse. Quindi il consiglio se volete affrontare
questa strada è quello di prendere un comodo SUV non tanto per il 4WD (che non
serve mai) ma solo per il comfort!
Arriviamo verso le 16.30 al resort che ha anche l’unico distributore di benzina
nel giro di qualche centinaio di km, e non se ne approfitta neanche!!! (2
AUD/litro contro 1,1 di Adelaide)
La stanchezza di tanti km si fa sentire e la vasca idromassaggio in camera con
vista sul deserto è benedetta. Cena in uno dei ristoranti del resort (il
Carmichael) innaffiata da un più che ottimo Shiraz-Cabernet-Sauvignon (peccato
un paio di gradi troppo caldo).
Ero un po’ prevenuto e preoccupato per questa struttura che essendo l’unica
della zona temevo potesse marciarci come rapporto prezzo/qualità. Offre di
tutto: dal campeggio, alle camere spartane per backpackers fino alle suite
(cosiddette Deluxe SPA) come la nostra di cui non abbiamo nulla da lamentarci,
anzi. Buona cena e discreta colazione.
Kings Canyon – Uluru
Quella che doveva essere una delle giornate clou e che attendevo con più ansia
si rivela purtroppo una mezza delusione. Ci alziamo con un cielo semi-plumbeo e
totalmente coperto, e così purtroppo rimarrà tutto il giorno privandoci di quei
colori (il rosso della roccia e della terra, l’ocra della vegetazione, l’azzurro
del cielo) che tanto attendevo.
Fatta un’abbondante colazione in hotel partiamo per il King Canyon e qui oltre
al brutto tempo incassiamo una seconda delusione: ingannati da un tempo di
percorrenza che si rivelerà troppo conservativo (4 ore) rinunciamo al loop del
North Rim optando per il andata/ritorno di 2 ore (che chiuderemo in quasi la
metà) del South Rim. L’ascesa alla sommità del Canyon è molto facile
-praticamente una serie di scalini- e si svolge su sfondo compatto, e si arriva
al bordo sud della grande gola dove, per motivi ignoti un cancello sbarra la
strada a percorrere il loop in senso contrario al giro lungo (in realtà noi, da
buoni italiani, aspettiamo che qualcuno arrivi dal giro lungo ed entriamo di
straforo ma poi, cartelli ammonitori e un briciolo di senso civico ci
consigliano di lasciar perdere e quindi rientriamo per la strada dell’andata).
Ripartiamo delusi dal grigio meteo (tranne per il fatto che la mancanza di sole
ci ha graziato come calura e disidratazione) e percorriamo i 270 km che ci
separano da Yulara, ovvero il complesso di hotel, campeggi e affini che formano
l’Ayers Rock Resort. Sbrigate le veloci pratiche di check-in e rinfrescati nella
bella camera ci dirigiamo subito verso la famosa roccia Uluru, non prima di aver
pagato la bellezza di 50 AUD per il 3-day pass (che noi sfrutteremo solo per 2
mezze giornate!).
Pur nella sua monocromaticità dovuta al maltempo, la roccia è effettivamente
affascinante, per come è “piantata” nel bel mezzo del piatto ed arido deserto.
Non abbiamo molto tempo da dedicare alla visita e alle spiegazioni religiose al
Cultural Central (dove gli aborigeni vietano assolutamente di fare foto, perché
li disturba, ma gli 11 AUD per 2 MaxiBon invece non danno fastidio :-) ) in
quanto dobbiamo tornare in hotel per partecipare ad un “evento” che mi è stato
gentilmente regalato per il mio 50 compleanno dall’amica Daniela: il Field of
Light Star Pass. Trattasi di un’installazione temporanea dell'artista Bruce Munro
(sullo stile di quelle
che fa il bulgaro Christo) di 50.000 bulbi Led nel mezzo del deserto e
che appena buio si accendono cambiando colore ogni 6 secondi. Solo il “contorno”
vale il prezzo del biglietto: mezz’ora prima del tramonto si viene portati in
pullman su una collina per assistere allo spettacolo degli ultimi raggi di sole
che illuminano la sacra roccia e (questa volta si) grazie alle basse nubi ai
mille toni di arancio di cui si accende il cielo. Il tutto innaffiato da un buon
spumante australiano (o birra per i più buzzurri) e da meno buone “canapè” che
ho scoperto essere delle specie di tartine. Dopo un paio di calici comincio a
vedere qualche divinità aborigena :-) ma per fortuna il buio e la contemporanea
accensione dei led mi riportano in riga. Si scende quindi DENTRO il campo
fiorito di led e per mezz’ora/un’ora si è liberi di vagare immersi in questa
super-suggestiva installazione (un qualcosa di simile era presente al padiglione
cinese dell’Expo 2015, ma ovviamente dimensioni e soprattutto atmosfera erano
tutt’altra cosa). Scatto molte foto su un mini-treppiedi che mi ero portato per
l’occasione e quando stiamo per andare via, una guardia mi dice che non sarebbe
consentito! Va beh, doveva beccarmi prima… Quanto odio questi divieti assurdi di
scatto, quando è chiaro che la finalità non è quella commerciale! Comunque sia,
bellissima esperienza di cui ancora una volta ringrazio Daniela.
Come il precedente, negative recensioni su TA mi avevano mal predisposto, invece
il resort è strutturato molto bene, dentro uno splendido giardino botanico (con
tanto di cartellini su ogni pianta e un percorso didattico da seguire) e la
camera Garden View Room è modernamente e ottimamente arredata. Per la cena,
pranzo e colazione c’è solo l’imbarazzo della scelta in molti locali: da un
semplice sandwich al ristorante di lusso.
Katia Tjuta (Mt. Olgas) – Volo per Cairns
L’orario a cui ci svegliamo potrebbe anche essere adatto ad andare a vedere
l’alba ad Uluru al Sunrise spot, ma la pigrizia ed altre attività ci attardano e
così dopo una veloce colazione al Cafè Kulata (che eticamente assume solo
personale aborigeno da introdurre ad attività turistiche) ci dirigiamo verso la
“catena” dei Monti Olgas con le sue 36 cupole di color rosso. Il cielo è
finalmente in parte sgombro dalle nubi di ieri e così il sole può illuminare e
accendere la roccia e soprattutto l’azzurro può fare da contrastato background;
se poi ci aggiungiamo ogni tanto qualche “oasi” di verde, il contrasto cromatico
è veramente impressionante.
Per motivi di tempo (abbiamo l’aereo per Cairns nel primo pomeriggio) non
affrontiamo il loop intero di 7 km (dato anche con grado di difficoltà
“difficile”, ma sempre riferita al turista in scarpe da ginnastica) ma ci
dirigiamo al primo e poi al secondo lookout: una tranquilla passeggiata di 1 ora
e mezza (2 con le inevitabili mille foto) che porta dentro le varie cupole fino
ad arrivare nei pressi di una gola.
Nel ritorno all’hotel, decidiamo di rifare una capatina a Uluru per rifare
alcune foto con una luce migliore del giorno precedente e sbrigate le
“lunghissime” pratiche di car return (parcheggiare e gettare la chiave in un
box!) partiamo con un piccolo e semivuoto 770 per la volta di Cairns (2 ½ di
volo). Atterriamo bucando un denso muro di nuvole ed atterriamo trovando 26° e
il 90% di umidità.
Un lungo trasferimento in macchina di 1 ½ ora, ma allietato dalla simpatia del
driver scozzese David con il quale si disserta di whisky e di rum, ci porta a
Mossmann e al Silky Oaks Lodge, che pur al buio ci affascina e ci colpisce
positivamente.